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  • I am Charlie! Je suis Charlie! La democrazia è sotto attacco!

    I am Charlie! Je suis Charlie! La democrazia è sotto attacco!

    La notizia dell’uccisione di Charlie Kirk ci ha profondamente scossi. Sposato e padre di due figli, Kirk era il fondatore di Turning Point USA, un attivista conservatore e una voce influente tra i giovani americani. È stato assassinato durante un evento pubblico alla Utah Valley University. Un gesto vile e politico, mirato a spegnere un pensiero scomodo.

    Charlie Kirk era un uomo libero che credeva nella forza del dibattito, nella libertà e nella responsabilità individuale e nei valori occidentali. Faceva il giro dei campus universitari, dove si ingaggiava in lunghi dibattiti con gli studenti dalle idee divergenti dalle sue. Insomma, praticava i principi fondamentali della democrazia. La sua morte è dunque una tragedia non solo personale, ma anche un attacco diretto alla libertà di espressione e alla democrazia occidentale.

    Sinistra corresponsabile della violenza!

    Come già scritto nel nostro comunicato del 1° settembre sui disordini di Losanna, è evidente che i partiti e la “cultura” di sinistra hanno le loro responsabilità. Continuano a legittimare idee e movimenti radicali, talvolta terroristici, con slogan pieni d’odio, marciando spesso al loro fianco o facendone direttamente parte. In questo modo, contribuiscono attivamente a creare un clima di tensione. Questo clima spinge a compiere atti violenti, di cui Charlie Kirk è diventato vittima. Purtroppo, anche in Svizzera si verificano casi simili. Il consigliere comunale dell’UDC Thibault Schaller, riconosciuto come esponente di destra, è stato aggredito da presunti “Antifa” il 25 agosto scorso e si è salvato solo grazie all’intervento della polizia.

    I dati del Servizio delle attività informative della Confederazione (SIC) parlano chiaro: l’estremismo di sinistra e quello islamico rappresentano oggi la minaccia più concreta alla sicurezza interna della Svizzera. Le aggressioni agli agenti di polizia, le devastazioni urbane e gli attacchi a personalità politiche sono quasi esclusivamente opera di gruppi che si definiscono “antifascisti”, “anticapitalisti” o di individui provenienti da paesi a maggioranza islamica. Ciò che accomuna la sinistra e i gruppi islamisti, spesso alleati, è l’odio verso i valori occidentali basati sulla libertà e la responsabilità individuali, che anche Charlie Kirk difendeva con veemenza.

    L’ipocrisia della sinistra

    Quando, nel 2015, toccò per una volta gli ambienti di sinistra con l’assassinio, da parte di terroristi islamici, dei caricaturisti di Charlie Hebdo, il mondo intero si unì giustamente nel dolore. “Je suis Charlie” divenne il grido universale per difendere la libertà d’espressione. Oggi, invece, quando un giovane conservatore viene ucciso per le sue idee, il mondo non si unisce più. Perché? Perché non era di sinistra?

    La nostra società libera non si difende con i pugni o con le pallottole. Si difende con il coraggio di dire la verità, anche quando è scomoda. I Giovani UDC Ticino non accetteranno mai che l’estremismo e la violenza di qualsiasi colore vengano legittimati o si diffondano nella nostra società.

    Charlie Kirk è stato ucciso per ciò in cui credeva e diceva. E questo, in una società libera, è inaccettabile.
    I am Charlie! Je suis Charlie! E non ci faremo mai zittire!

  • Accordo sui frontalieri: una vittoria di Pirro per Cassis, una sconfitta su tutta la linea per il Ticino

    Accordo sui frontalieri: una vittoria di Pirro per Cassis, una sconfitta su tutta la linea per il Ticino

    Lo scorso 23 dicembre, il Consigliere Federale Ignazio Cassis e il suo dipartimento annunciavano in tono vittorioso la firma del nuovo accordo sull’imposizione dei lavoratori frontalieri con l’Italia. Peccato che l’accordo in sé sia in realtà una vittoria di Pirro per il nostro paese, e il prezzo più alto lo paga ancora una volta il Ticino.

    L’obbiettivo dichiarato, non raggiunto, era quello di rendere meno attrattivo per i frontalieri a livello fiscale il lavoro in Svizzera. Invece, i nostri diplomatici hanno preferito cedere alle pressioni da parte dell’Italia, introducendo due categorie di frontalieri: gli oltre 70’000 frontalieri attuali a cui si applicherà lo status quo (saranno tassati quindi solo in Svizzera), e i nuovi frontalieri, ossia coloro che dal 2023 lavoreranno nel nostro paese e saranno soggetti quindi al nuovo regime fiscale, e pagheranno qualcosa in più, ma solo in Italia.

    Gli oltre 70’000 frontalieri attuali continueranno a beneficiane per almeno un decennio di un regime fiscale privilegiato perché non pagano imposte in Italia, e si assisterà nel 2022 ad una caccia al contratto (sia da parte dei frontalieri che da parte dei datori di lavoro) per non entrare nella nuova imposizione, con un conseguente ulteriore aumento del numero di frontalieri e del dumping salariale in Ticino.

    Gli effetti negativi per il nostro cantone non finiscono qui: la quota dei ristorni per i vecchi frontalieri a carico del Ticino aumenta dal 38,8% al 40%, mentre il moltiplicatore comunale al 100 sarà abbassato al moltiplicatore medio, ossia circa l’80%, per una perdita totale del gettito fiscale di 15 milioni di chf. Inoltre, l’accesso al mercato dei servizi finanziari non ha visto concreti progressi, anzi, si sono addirittura introdotti maggiori ostacoli rispetto al passato.

    Per ottenere davvero dei vantaggi per il nostro Cantone ci toccherà aspettare 20 o 30 anni finché gli attuali frontalieri andranno in pensione e verranno sostituiti da quelli nuovi, oppure assistere nel 2023-24 ad una assunzione di massa di oltre 20’000 nuovi frontalieri. Davvero un bel lavoro svolto dal “nostro” Consigliere Federale! Volete sapere pure la beffa? Siamo ancora sulla black list italiana!

    Diego Baratti

    Presidente Giovani UDC Ticino

    Consigliere Comunale Ponte Capriasca

  • Divieto del Burka: pericolo turistico?

    Divieto del Burka: pericolo turistico?

    Nei dibattiti su un divieto nazionale del velo negli spazi pubblici, si sostiene spesso che questo danneggerebbe il turismo svizzero. I contrari sostengono che gli albergatori dipendano dai turisti arabi, le cui donne vengono talvolta costrette a velarsi il viso.

    Prima di tutto voglio sottolineare che i pernottamenti degli ospiti arabi rappresentavano solamente il 2.3% dei pernottamenti in Svizzera nel 2019, tra cui ci la maggioranza delle donne non è portatrice del velo. Perciò è sbagliato parlare di un pericolo esistenziale per il settore turistico.

    Inoltre, l’esperienza ticinese con il divieto di dissimulazione del volto suggerisce che i pernottamenti da parte dei turisti arabi, non sono destinati a decrescere numericamente a causa di un divieto di dissimulazione. Infatti, dal 2014 (nel settembre 2013 fu accettato il divieto alle urne ticinesi) fino al 2016 i pernottamenti sono addirittura aumentati e poi restati stabili fino al 2019, anno in cui sono crollati in tutta la Svizzera. Anche in altri paesi europei, in cui si ha vietato il Burka in luoghi pubblici, non si ha osservato una diminuzione dei turisti provenienti dal Medio Oriente. Una diminuzione dei pernottamenti in Svizzera è quindi uno scenario poco probabile.

    A questo punto vi pongo una domanda: chi di voi trascorre le proprie vacanze in un paese poco sicuro? Penso pochi. Dato che gli Hooligans, che vengono anche toccati dall’iniziativa, e l’islam radicale non aumentano di certo la sicurezza nel nostro paese, un divieto potrebbe addirittura aver effetti positivi a lungo termine sul settore turistico svizzero.

    Voglio terminare ricordandovi di votare entro il 7 marzo 2021, rassicurando gli albergatori e voi cittadini che un divieto di dissimulazione del volto non causerà danni al settore turistico.

    Vi ringrazio per la lettura.

    Nicolò Ghielmini, membro GUDC Ticino

  • Un accordo innovativo e vantaggioso

    Un accordo innovativo e vantaggioso

    Per scambiare merci a livello nazionale, la Svizzera stipula regolarmente con le varie nazioni del mondo degli accordi bilaterali in questo senso. Grazie a questi accordi, nella maggioranza dei casi, si riesce ad accrescere anche la nostra ricchezza. La sottoscrizione di accordi di libero scambio non è quindi unica prerogativa dell’Unione Europea, e non hanno sempre effetti negativi.

    L’accordo di partenariato con l’Indonesia ne è un buon esempio: Dà alle nostre piccole e grandi imprese d’esportazione un vantaggio competitivo fondamentale rispetto alla concorrenza dell’UE, che non ha ancora un simile accordo di libero scambio con l’Indonesia. Inoltre, è di grande importanza per le nostre aziende e i nostri posti di lavoro nell’attuale difficile momento economico. In aggiunta, l’accordo è compatibile con l’agricoltura svizzera e non mette in pericolo nessun settore sensibile di questo paese.

    Oltre ad eliminare dazi doganali elevati (potenziale di risparmio annuo di CHF 25 milioni), l’accordo rafforza la protezione della proprietà intellettuale, sopprime ostacoli tecnici al commercio, facilita il commercio di servizi e aumenta la certezza degli investimenti. In questo periodo economico difficile e incerto, esso attribuisce così un prezioso vantaggio concorrenziale alle imprese svizzere. 

    Ma allora, vi chiederete, se questo accordo è davvero così vantaggioso, perché siamo chiamati al voto? La risposta viene ancora una volta da sinistra e riguarda l’olio di palma. In particolare, a non convincere il comitato referendario, è la prevista riduzione dei dazi doganali sull’olio di palma. Il Governo indonesiano è a suo avviso inaffidabile e l’olio di palma prodotto a basso costo è dannoso per l’ecosistema indonesiano oltre ad alimentare la concorrenza di colture svizzere come l’olio di colza, di girasole o il burro.  

    Le preoccupazioni della sinistra sono però infondate. Infatti, l’accordo è considerato estremamente all’avanguardia. Esso contiene un capitolo molto completo sullo sviluppo sostenibile, con regole che l’Indonesia non ha ancora concluso con alcun altro partner commerciale. Infatti, non vi sarà infatti nessuna riduzione dei dazi doganali per l’olio di palma indonesiano se la produzione non rispetterà i diritti dell’uomo e severi requisiti ambientali. 

    L’Indonesia è il quarto paese più popoloso al mondo (271 mio. di abitanti) ed è uno dei paesi in via di sviluppo più in crescita. Vogliamo davvero rinunciare ad un innovativo e completo accordo, di cui la Svizzera beneficerà davvero sul lungo termine, per delle preoccupazioni (infondate) sull’olio di palma?

    Diego Baratti

    Presidente Giovani UDC Ticino

    Candidato al Municipio di Ponte Capriasca

  • Il Ticino un esempio per la Svizzera: sì al divieto di dissimulare il viso

    Il Ticino un esempio per la Svizzera: sì al divieto di dissimulare il viso

    Il prossimo 7 marzo 2021 voteremo sul divieto di dissimulare il viso in pubblico. Questa iniziativa si voterà a livello federale, anche se in Ticino da anni e più recentemente anche a San Gallo è già in vigore un divieto in questo senso, che può essere da esempio.

    In ogni paese che andiamo, riscontriamo culture, abitudini, modi di vivere e di essere diversi, ed è giusto e corretto rispettarli e farli rispettare. In Europa e in Occidente esiste la consuetudine di parlarsi mostrandosi il viso, e spesso coloro che si mascherano lo fanno con intenzioni non sempre pacifiche.

    Oltre al Canton Ticino e al Canton San Gallo, in molti paesi in Europa (come in Belgio, Francia e Austria) è già presente un divieto di dissimulare viso, a dimostrazione del fatto che non ha un impatto negativo per il turismo da parte di visitatori provenienti dai paesi islamici e che non sia visto come una discriminazione nei loro confronti. È giusto ricordare che anche successivamente l’introduzione di questa legge in Ticino, nel settembre del 2013, dopo aver suscitato molte preoccupazioni nel settore turistico, non si è costatata nessuna particolare riduzione di visitatori con fede musulmana, e molte turiste arabe si sono adattate senza problemi alle nostre leggi e alle nostre consuetudini (come peraltro siamo obbligate noi donne a fare quando ci rechiamo in visita nei loro paesi).

    Questo divieto dovrebbe essere visto in realtà piuttosto come uno sviluppo etico e morale. Ci battiamo in ogni occasione per la parità dei sessi e ora anche tramite questa modifica costituzionale abbiamo finalmente la possibilità di concretizzarla. Siamo un piccolo paese che da sempre si impegna per la pace internazionale e veniamo molto considerati per i nostri valori, possiamo e dobbiamo nel nostro piccolo dare un grande esempio in tutto il mondo!

    Votiamo sì il 7 marzo 2021 al divieto di dissimulare il viso, per la Svizzera, per le donne e per un miglioramento della nostra società.

    Marta Cantinotti

    Giovani UDC

  • Le persone libere mostrano il viso!

    Le persone libere mostrano il viso!

    C’è chi potrebbe storcere il naso vedendo che, in un periodo dove siamo tutti costretti a girare con una mascherina a coprirci bocca e naso, si vada a votare su un’iniziativa per il divieto di dissimulare il viso. A parte il fatto che l’iniziativa stessa prevede delle eccezioni per motivi di salute, c’è però una sostanziale differenza: l’obbligo imposto dallo Stato di indossare le maschere è limitato nel tempo ed è giustificato da una pandemia e da una politica sanitaria, obbligo che rimarrà chiaramente ancora possibile in futuro anche se l’iniziativa dovesse venire approvata. Invece, la dissimulazione del viso con il velo islamico integrale (come burqa e niqab) non ha alcun motivo di protezione per la società. Al contrario, esso è un chiaro simbolo di oppressione della donna che fa a pugni con l’uguaglianza dei sessi e che impedisce alle donne che lo indossano di integrarsi nella nostra società. Inoltre, coloro che si coprono il volto per attaccare altre persone senza essere scoperti o per danneggiare la proprietà altrui (estremisti, vandali e teppisti) agiscono addirittura in modo pericoloso, oltre che codardo.

    In uno stato democratico come la Svizzera, le persone (uomini e donne che siano) si guardano in faccia quando si parlano, questo perché anche la nostra espressione facciale è un mezzo di comunicazione importante. L’emergenza sanitaria ci ha imposto una parziale copertura del nostro viso, complicando non di poco la nostra vita di tutti i giorni: spesso facciamo fatica a riconoscere i nostri amici e colleghi, a parlare con loro, oppure non riconosciamo se stanno sorridendo o se invece sono arrabbiati, non ne riconosciamo le emozioni. Per questo sono convinto che la maggioranza di noi sarà sollevata al pensiero di lasciare a casa la mascherina una volta che la pandemia sarà alle nostre spalle, sentendoci quasi di aver riacquistato un pezzetto della nostra libertà.

    Libertà. Questo è il concetto chiave. In un paese libero come il nostro, nessuno dovrebbe essere costretto a coprirsi il volto (se non appunto per eccezioni mediche e climatiche con durata limitata). Le persone libere mostrano il viso, per comunicare, per ridere, per piangere, per arrabbiarsi, per condividere la gioia o il dolore, e, per farla breve, per vivere. Queste libertà sono invece proibite alle donne che indossano il burqa e il niqab. Spesso queste donne sono obbligate dai loro mariti o dalla loro famiglia ad indossare questi indumenti, che alla fine risultano essere quasi delle prigioni di stoffa più che dei vestiti, e che negano alle donne il diritto di vivere come pari nella nostra società, rendono impossibile interpretare i loro gesti e le loro espressioni facciali.

    Il divieto di dissimulare il viso non è quindi un codice di abbigliamento, ma libera le donne dall’umiliazione e dall’oppressione, e in certi paesi potrebbe pure essere visto come un simbolo di autodeterminazione della donna. Infatti, in Iran o Arabia Saudita, le donne che scelgono liberamente di togliersi il velo, rischiano addirittura la prigione e spesso pure la tortura. Evidentemente tutte queste cose non hanno nulla a che vedere con la religione, ma è un aspetto culturale. E nella nostra cultura, di uomini e donne liberi, questo tipo di sottomissione non deve venire imposto a nessuno, né tantomeno venir tollerato.

    Diego Baratti

    Presidente Giovani UDC

    Candidato al Municipio di Ponte Capriasca

  • Si socializza anche attraverso il viso!

    Si socializza anche attraverso il viso!

    Dire si all’iniziativa antiburqua non metterà sicuramente fine alla discriminazione, alla violazione dei diritti e all’offesa contro le donne; ma può essere certamente un primo passo che ci avvicina di più al raggiungimento di una vita equa, libera e felice per ogni donna.

    Nascondere il volto è un atto ingiusto, opprimente e innaturale. Il viso è un potente mezzo per la lettura e l’interpretazione delle espressioni facciali, l’uomo infatti viene da sempre descritto come ‘’un animale sociale’’ citando Aristotele. Perciò nascondere il volto è un atto così sbagliato, in quanto ogni persona grazie ad esso lascia trasparire le sue emozioni, sentimenti, pensieri, opinioni e idee. La faccia ha un ruolo fondamentale nella vita di ogni persona, poiché ci aiuta a creare rapporti, a stabilire connessioni, ad instaurare conversazioni, a rafforzare legami e a renderci le persone che siamo. Per quale motivo le persone si guardano in faccia mentre parlano? Perché le espressioni che nascono e si creano sul viso di un individuo esprimono chi è, raccontano la sua storia, indicano i suoi intenti più profondi, conferisco approvazione e disapprovazione, donano coraggio, felicità e forza, danno conforto o semplicemente strappano un sorriso, il quale può migliorare la giornata a qualcuno. 

    Il volto è un mezzo potente e ogni persona deve poterlo usare, perché tutti, donne comprese, devono avere il diritto di ridere, sorridere o fare una smorfia e poterlo fare vedere a chiunque.

    Perciò la questione è semplice, vogliamo diventare dei freddi e apatici manichini o essere delle persone espressive, colorate e calorose?

    Pamela Molteni

    Giovani UDC

    Capriasca

  • La strumentalizzazione dei paladini del moralismo

    La strumentalizzazione dei paladini del moralismo

    La campagna per o contro l’iniziativa «Per imprese responsabili» è diventata una lotta tra buoni e cattivi. I primi sono i paladini dei diritti umani e della tutela dell’ambiente mentre i secondi sono i difensori dei soliti avidi interessati esclusivamente al profitto. Ma vi siete mai interrogati in merito agli strumenti utilizzati in questa campagna dagli iniziativisti? Durante la campagna di votazione di settembre (iniziativa per la limitazione), l’UDC è stata accusata da questi paladini del moralismo per aver strumentalizzato una bambina nell’ormai famoso video. Ma vi siete mai chiesti se il loro slogan, la foto della bambina difronte alla miniera o gli esempi utilizzati ora dagli iniziativisi siano reali? Ecco qualche esempio lampante che ridimensiona di molto quanto loro sostengono, cambiando decisamente le carte in tavola! Prendiamo il caso della miniera di Glencore in Peru accusata di inquinare con metalli pesanti l’acqua e l’aria causando gravi sofferenze ai bambini locali. Questa miniera ha più di 100 anni ed è stata gestita nel corso della sua storia da diverse imprese. Glencore ne è diventata proprietaria solo nel 2017 e da allora sta lavorando con la locale Volcan per sviluppare misure ambientali e sanitarie che vengono implementate come parte di un piano di gestione sociale e ambientale completo. Glencore non ha quindi alcuna colpa per l’inquinamento causato dalla miniera. Spostiamoci ora in India dove gli iniziativisti accusano Syngenta di avvelenare e uccidere i contadini locali con un pesticida, il Polo, vietato in Svizzera. Peccato però che questo pesticida non sia proibito né in Svizzere né a livello internazionale. Inoltre, in India, le autorità locali hanno confermato che non vi è alcun legame tra l’avvelenamento avvenuto e i prodotti di Syngenta. E ora passiamo al caffè. Nespresso è stata accusata di consentire il lavoro minorile nelle sue piantagioni di caffè. Dopo un’indagine sul posto, sono stati scoperti 3 casi (pari all’1% delle irregolarità). Durante l’inchiesta, Nespresso ha bloccato tutti gli acquisti di caffè dalle 300 piantagioni interessate e ha in seguito escluso le 3 piantagioni colpevoli di abusi dal programma fino a quando questi non sono stati corretti. L’indagine ha permesso anche di scoprite una problematica finora sconosciuta. In Guatemala il raccolto viene effettuato dai migranti che si recano sul posto di lavoro con i loro figli, che non possono lasciare a casa da soli. Non è quindi sorprendente incontrare dei bambini nelle piantagioni di caffè. Per questo motivo, Nespresso allestirà un asilo nido per tenere lontani questi bambini dai lavori pericolosi e impedire loro di lavorare con i genitori. Questi esempi mostrano chiaramente che gli iniziativisti, pur perseguendo dei nobili obiettivi, non stanno probabilmente giocando in maniera pulita le proprie carte. Utilizzare fatti e slogan palesemente falsi e strumentalizzando disgrazie avvenute, mancano di rispetto prima di tutto alle popolazioni che dicono di voler proteggere. Un comportamento quantomeno discutibile da parte di chi, solo pochi mesi fa, accusava l’UDC di strumentalizzare una bambina e che oggi cerca di far passare i contrari all’iniziativa per i cattivi della situazione. Non facciamoci ingannare con promesse irraggiungibili e casi montati ad hoc. Gli strumenti proposti si spingono troppo in là, nuocciono ai paesi in via di sviluppo e danneggiano la piazza economica svizzera. Per questo bisogna votare un chiaro NO all’iniziativa «Per imprese responsabili»!

    Diego Baratti

    Presidente Giovani UDC

  • Un terribile autogol per la Svizzera

    Un terribile autogol per la Svizzera

    Il prossimo 29 novembre saremo chiamati a votare sull’iniziativa per le multinazionali responsabili, o come è più giusto chiamarla, per le imprese responsabili, dal momento che non riguarda solo le grandi aziende, ma ha delle conseguenze anche per le piccole e medie imprese.

    Questa iniziativa, lanciata da 130 organizzazioni di sinistra, chiede la protezione dei diritti umani e dell’ambiente. A tal fine, vuole rendere responsabili le aziende in Svizzera, compresi i loro fornitori, e renderle responsabili in tutto il mondo. Beh, questo obiettivo suona bene di per sé. Chi è contro i diritti umani e la protezione dell’ambiente? Ma in realtà l’approvazione dell’iniziativa sarebbe un devastante autogol per tutta l’economia del nostro paese.

    Infatti, con l’approvazione dell’iniziativa, le aziende dovrebbero rispondere legalmente secondo il diritto svizzero di qualsiasi problema o errore che le loro filiali e i loro fornitori commettano in qualsiasi parte del mondo, dovendo esse stesse dimostrare di non essere colpevoli. Questo causerebbe, oltre a dei costi burocratici immensi per lo Stato e per le aziende, una vera e propria ondata di cause legali contro le nostre imprese. E verrebbe pure introdotto un sistema di inversione dell’onere della prova. Ciò significa che non è il querelante che deve provare la cattiva condotta di una società, ma l’imputato che deve provare la sua innocenza.

    Proviamo a spiegare questo concetto con un esempio: il nostro vicino potrebbe accusarci di aver rubato delle mele dal suo albero. Siamo noi a dover dimostrare che non le abbiamo rubate, portando prove e fatti a nostra discolpa. Lui ci accusa, e non deve fare nient’altro. Gli basta solo il dubbio che siamo stati noi. E poiché il nostro vicino è del Cile, il processo si svolgerà in Sud America. Assurdo vero? Ma questo è il principio che sta alla base di questa iniziativa.

    Gli iniziativisi si comportano come dei colonialisti: vogliono far valere il diritto svizzero in tutto il mondo, facendo diventare di fatto i tribunali svizzeri i tribunali morali del mondo: ad esempio, il tribunale di Lugano potrebbe dover sentenziare su eventi che si sono verificati nelle Filippine o in Congo! Insomma, i tribunali delle Filippine o del Congo, e lo stato di diritto di quelle nazioni, non contano niente, e saremo noi a fare giurisprudenza per loro.

    Ma cosa significa tutto questo per la nostra economia e per il nostro benessere? Molte aziende, visto il carico di lavoro richiesto, la vulnerabilità (possono di fatto essere accusate per ogni cosa, anche per cose che non hanno commesso), e l’incertezza giuridica, sceglieranno di delocalizzare e chiudere le loro sedi in Svizzera, con una conseguente perdita di posti di lavoro. Le PMI, oberate dalla burocrazia e meno competitive rispetto a delle aziende straniere che non sottostanno a questa assurda legge, si vedranno costrette a chiudere i battenti, mettendo in difficoltà migliaia di famiglie e di aziende che ad esse si affidavano.

    Nessuno è perfetto, ed è giusto intervenire là dove si riscontra un effettivo comportamento scorretto da parte delle nostre imprese. E per questo che il parlamento ha elaborato un controprogetto indiretto, che non colpisce in maniera così diretta le nostre PMI e che entrerebbe in vigore nel caso l’iniziativa dovesse venir respinta. Il suo contenuto? Le aziende devono riferire regolarmente sui rischi delle loro attività all’estero per quanto riguarda le persone e l’ambiente e sulle misure adottate per evitarle. Un compromesso, che non fa della Svizzera la polizia del mondo, e che allo stesso tempo non causa perdite di posti di lavoro.

    Diego Baratti

    Presidente Giovani UDC

    Ponte Capriasca

  • Un pericoloso primato

    Un pericoloso primato

    L’iniziativa popolare ²per imprese responsabili² in votazione il prossimo 29 novembre, è a dir poco esagerata: non a caso Consiglio Federale ed Parlamento invitano a respingere la stessa. L’iniziativa chiede di rendere ancor più responsabili le imprese svizzere attive all’estero, come pure i loro fornitori economicamente dipendenti.

    Ma dove sta la differenza tra la responsabilità attuale e quella voluta dall’iniziativa in votazione?

    In breve: ad oggi, le imprese e le multinazionali con il centro d’attività principale, la sede o l’amministrazione centrale su suolo elvetico e che hanno delle filiali all’estero devono sottostare alle norme ed alle leggi della nazione in cui producono. L’iniziativa pretende invece, che la Costituzione Svizzera venga rispettata anche dalle suddette filiali estere. Ciò sarebbe un assurdo primato a livello mondiale: quali saranno mai i motivi per cui nessun’altra nazione ha mai deciso di adottare questa legge? Molto semplicemente, queste povere imprese si ritroverebbero a dover rispettare sia il diritto del paese ospitante come pure quello svizzero, risultando pertanto penalizzate sul piano operativo e anche su quello produttivo.

    Noi vogliamo respingere questa iniziativa, poiché i problemi che dovranno fronteggiare le filiali estere di imprese svizzere sono troppo svantaggiosi dal punto di vista economico.  Per esempio, le altre imprese che producono nello stesso paese estero (che però non sono legate in alcun modo alla Svizzera), avranno più margine di manovra per quanto riguarda i dipendenti, i clienti, l’approvvigionamento ecc. È quindi chiaro che dal punto di vista concorrenziale le nostre imprese sarebbero penalizzate. E quali sarebbero le conseguenze? Evidentemente è logico pensare che le imprese e multinazionali che hanno la loro il centro d’attività principale, la sede o l’amministrazione in Svizzera si sposterebbero in un altro paese, così da non dover sottostare a questa nuova e pesante legge limitatoria. Tutti noi sappiamo bene quanto la presenza delle multinazionali ed imprese sul territorio svizzero siano importanti per il benessere della nostra economia nazionale. Infatti, esse danno lavoro a molti cittadini e cittadine svizzeri/-e, come pure ad una miriade di piccole-medie imprese con cui collaborano. Se questa iniziativa venisse accettata, si andrebbe incontro non solo alla delocalizzazione di queste imprese, bensì anche alla perdita di molti posti di lavoro su territorio svizzero. Inoltre, non ci sarebbero più entrate fiscali riguardanti queste multinazionali e ciò porterebbe ad un ulteriore impoverimento della nostra Nazione.

    D’altro canto, se l’iniziativa venisse respinta entrerebbe in vigore il controprogetto indiretto (sotto forma di legge e non di articolo della Costituzione federale), il quale prevede che le multinazionali e le imprese svizzere con delle filiali all’estero debbano render conto alla Confederazione una volta all’anno sulla loro politica interna in materia di diritti umani.

    Stiamo vivendo un momento difficile e di insicurezza a causa del famigerato “Covid-19”.  Vogliamo peggiorare ancor più la situazione lavorativa dei cittadini svizzeri e mettere a repentaglio molti posti di lavoro? Io no, e per questo vi invito a respingere l’iniziativa in votazione il 29 novembre 2020 denominata “per imprese responsabili”.

    Per i Giovani UDC,

    Canevascini Rocco