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  • NO all’iniziativa per il “futuro” – un attacco diretto alla proprietà privata, alle imprese e alla libertà economica

    NO all’iniziativa per il “futuro” – un attacco diretto alla proprietà privata, alle imprese e alla libertà economica

    Secondo il solito costume, la GISO cerca di promuovere le proprie idee controproducenti mascherandole dietro a belle parole e buone intenzioni. Eppure questa volta non sono riusciti nemmeno in questo: l’iniziativa per il futuro è un attacco diretto e senza ambiguità alla proprietà privata, alle imprese e alla libertà economica in Svizzera.

    Dietro alla proposta dei Giovani Socialisti non vi è alcuna visione costruttiva o riforma utile. Sussiste solamente la solita logica dell’invidia e della penalizzazione del successo. Il progetto in questione intende introdurre un sistema di tassazione manifestamente sproporzionato, che finirebbe per colpire non solo coloro che, attraverso anni di lavoro, sacrifici e responsabilità, contribuiscono in modo determinante alla prosperità, all’occupazione e alla stabilità della Svizzera, ma anche numerosi lavoratori e famiglie.

    In concreto, l’iniziativa pretende di introdurre un’imposta federale con un’aliquota del 50% (da aggiungere a quelle cantonali e comunali) sulle successioni e sulle donazioni delle persone fisiche con patrimoni superiori ai 50 milioni di franchi. Tassare la successione come propone la GISO comporterebbe la chiusura, la vendita o la delocalizzazione di innumerevoli aziende familiari e PMI, che costituiscono l’ossatura della nostra economia nazionale. È essenziale comprendere che questa imposta graverebbe direttamente sugli eredi, i quali spesso non dispongono della liquidità necessaria per farvi fronte, poiché il patrimonio trasmesso è investito nell’azienda stessa. Per pagare l’imposta sarebbero quindi costretti a vendere quote, a disinvestire o persino a cedere l’intera attività. L’approvazione di un simile meccanismo metterebbe in ginocchio centinaia di aziende solide e produttive, con conseguenze drammatiche per l’occupazione e per l’economia nazionale.

    Inoltre, è chiaro che molte famiglie proprietarie di aziende di piccole, medie e grandi dimensioni non attenderebbero certo l’entrata in vigore di una simile imposizione. Trasferirebbero la residenza e i patrimoni all’estero, portando con sé anche le imprese che hanno costruito. La conseguenza sarebbe un indebolimento del tessuto economico svizzero e la perdita di migliaia di posti di lavoro qualificati.

    La Svizzera ha costruito la propria prosperità su basi chiare: libertà economica, responsabilità individuale e stabilità fiscale. La proposta della GISO punta a distruggere tutti e tre questi principi, trasformando il successo e l’impegno in colpa e violando la garanzia della proprietà privata, nel tentativo di trasformarla in qualcosa da redistribuire.

    Bisogna avere il coraggio di dirlo: questa è l’ennesima iniziativa socialista che punta a creare un modello di società in cui lo Stato decide chi ha diritto a cosa, una deriva che non appartiene né alla nostra tradizione né ai nostri valori. Demonizzare chi lavora e crea significa indebolire l’intero Paese. La libertà e la proprietà sono la base della responsabilità e della prosperità. Per questo, il 30 novembre dobbiamo dire un chiaro NO all’“Iniziativa per il futuro”: un progetto che mira ad avvicinare la Svizzera a un modello di economia centralizzata e collettivista, lontano dai principi che hanno garantito la nostra indipendenza e il nostro benessere.

    Anastassiya Fellmann, Vicepresidente GUDC Ticino

  • “Sciopero” studentesco: Quando la scuola diventa centro sociale!

    “Sciopero” studentesco: Quando la scuola diventa centro sociale!

    I Giovani UDC Ticino esprimono profonda preoccupazione per quanto accaduto negli istituti scolastici ticinesi e durante il corteo pomeridiano a Bellinzona in occasione della cosiddetta “Giornata per la Palestina”. Come già evidenziato nel nostro comunicato stampa del 18 ottobre, si è verificato ciò che temevamo: in diversi istituti sono stati invitati come relatori i soliti professori italici con marcata tendenza a sinistra, noti per la scarsa neutralità nei confronti di temi geopolitici complessi. Inoltre, la mattinata è stata sfruttata per preparare striscioni e materiale propagandistico da utilizzare nel corteo pomeridiano, trasformando gli spazi scolastici in laboratori di militanza politica. Nel pomeriggio, i docenti e una minoranza di studenti attivisti ha preso parte alla manifestazione a Bellinzona, mentre per la maggioranza degli studenti, solitamente disinteressati al conflitto in Medioriente, l’iniziativa si è tradotta in un’occasione per tornare anticipatamente a casa.

    Il ruolo del SISA e dei comitati studenteschi

    L’intera mobilitazione è stata orchestrata dal SISA, un presunto sindacato che si presenta come voce degli studenti, ma che in realtà è saldamente controllato da rappresentanti dei Giovani Comunisti, il cui coordinatore ha tenuto un discorso in piazza durante il pomeriggio. Questo sindacato avallandosi dei comitati studenteschi, le cui composizione e modalità di elezione non sono pubblicamente note, ha proposto alle direzioni scolastiche le attività del giorno, ben accolte dai docenti soliti a non perdere occasione per diffondere le loro idee sul mondo. Raramente, se non mai, i comitati li si vede impegnati in iniziative concrete volte a migliorare la qualità dell’insegnamento o il sostegno all’apprendimento. Si tratta, dunque, di una presunta rappresentanza studentesca che non risponde agli interessi reali degli studenti, ma piuttosto a logiche ideologiche estranee alla missione educativa della scuola.

    Il Consiglio di Stato ignora la situazione

    Il Consiglio di Stato, come da sua stessa dichiarazione in risposta alla nostra interrogazione parlamentare del 18 ottobre, mantiene un contatto stretto con le direzioni scolastiche e con i rappresentanti degli studenti, verosimilmente comitati studenteschi e SISA. Se le informazioni che riceve provengono principalmente da questi canali, non stupisce che non sia al corrente delle criticità, delle derive ideologiche e della parzialità didattica che si manifestano in troppi istituti. La mancanza di pluralismo informativo e la contaminazione ideologica del DECS compromettono la capacità delle autorità di valutare con obiettività l’impatto di certe iniziative scolastiche sulla formazione degli studenti. È necessario che il Consiglio di Stato si doti di meccanismi di verifica più trasparenti e imparziali, coinvolgendo anche realtà associative, genitori e docenti non allineati, al fine di garantire che la scuola rimanga un luogo di educazione e non venga strumentalizzata per fini ideologici.

    I Giovani UDC Ticino continueranno a vigilare affinché la scuola resti un luogo di crescita, conoscenza e responsabilità, e non venga trasformata in un centro sociale ideologizzato.

  • La sicurezza non è un esperimento

    La sicurezza non è un esperimento

    Il 30 novembre la Svizzera voterà sull’iniziativa popolare «Service Citoyen». A prima vista, il progetto sembra voler promuovere l’impegno civico e la solidarietà, ma nella pratica solleva interrogativi importanti sul futuro del nostro sistema di milizia e sulla sicurezza nazionale.

    L’iniziativa chiede che tutti i giovani adulti, uomini e donne, siano obbligati a svolgere un servizio “a favore della collettività o dell’ambiente”. L’idea appare condivisibile, ma di fatto comporterebbe la sostituzione della leva militare con un servizio obbligatorio universale, che metterebbe sullo stesso piano l’esercito e attività di tipo civile o amministrativo.

    La Svizzera si è sempre distinta per il suo sistema di milizia, che garantisce equilibrio, partecipazione e sicurezza. Modificarlo in modo così radicale significherebbe correre un rischio non necessario. In un periodo di crescente incertezza internazionale, è essenziale mantenere un esercito efficiente e pronto all’impiego, capace di proteggere la popolazione e il Paese.

    La sicurezza nazionale non può essere un terreno di prova per idee astratte o per tentativi di ingegneria sociale. Quando si parla di difesa e di prontezza operativa, la Svizzera non può permettersi di “provare qualcosa di nuovo”: la sicurezza non è un esperimento.

    L’obbligo di un servizio generalizzato, inoltre, comporterebbe sfide economiche e organizzative notevoli. Il numero delle persone soggette a servizio raddopierebbe, passando da 35’000 a circa 70’000 l’anno. Migliaia di giovani verrebbero temporaneamente sottratti al mercato del lavoro, in un momento in cui molte imprese faticano già a trovare personale qualificato. Le stime parlano di costi aggiuntivi di oltre 1,6 miliardi di franchi all’anno, che finirebbero per gravare su imprese, Cantoni e contribuenti. Un bel ringraziamento in nome del servizio alla collettività.

    Infine, l’iniziativa solleva una questione di principio: l’impegno civico nasce dalla libertà e dalla responsabilità personale, non dall’obbligo. La Svizzera vanta una tradizione viva di volontariato e partecipazione, che non ha bisogno di essere imposta per legge. Trasformare l’impegno spontaneo in un dovere rischia di snaturare il valore stesso della solidarietà, rendendola un atto amministrativo invece che un gesto di convinzione personale.

    Sostenere la nostra sicurezza, la libertà e la cultura del volontariato significa valorizzare ciò che già funziona: un esercito forte, un sistema di milizia efficiente e cittadini che partecipano per scelta, non per obbligo.

    Diego Baratti, vicepresidente UDC Ticino

  • Giovani UDC Ticino: No al trattato di sottomissione – difendiamo sovranità, democrazia e futuro dei giovani

    Giovani UDC Ticino: No al trattato di sottomissione – difendiamo sovranità, democrazia e futuro dei giovani

    I Giovani UDC Ticino hanno trasmesso oggi al Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) la propria risposta ufficiale alla consultazione sul “Pacchetto di misure per la stabilizzazione e l’ulteriore sviluppo delle relazioni tra la Svizzera e l’Unione Europea”.

    La posizione è chiara: il pacchetto proposto, non è altro che un trattato di sottomissione che compromette la sovranità nazionale, svuota la democrazia diretta e impone burocrazia, costi economici e sociali insostenibili, in particolare per il Canton Ticino e le giovani generazioni.

    Libera circolazione e immigrazione incontrollata

    L’estensione dei diritti di soggiorno e ricongiungimento familiare, unita a una definizione ampliata di “lavoratore”, incentiva l’immigrazione verso lo Stato sociale svizzero. La clausola di salvaguardia è inefficace e subordinata all’approvazione dell’UE, violando l’art. 121a della Costituzione.

    Democrazia diretta svuotata

    Il recepimento automatico del diritto UE esclude il Parlamento e il popolo dai processi decisionali. La Corte di giustizia dell’UE diventa arbitro supremo, riducendo l’autonomia del Tribunale federale e dei cittadini svizzeri. Per i giovani, questo significa meno voce in capitolo, meno possibilità di influenzare il futuro del proprio Paese.

    Burocrazia e danni alle PMI

    Le direttive europee impongono oneri sproporzionati alle piccole e medie imprese, ostacolando innovazione, flessibilità e occupazione giovanile, soprattutto in Ticino. Le prospettive professionali e imprenditoriali dei giovani vengono soffocate da una regolamentazione pensata per altri contesti.

    Costi diretti e indiretti insostenibili

    Contributi di coesione, programmi UE e spese sociali peseranno più di 1,4 miliardi di franchi all’anno alla confederazione. Si aggiungono costi indiretti e costi a carico dei cantoni e comuni. Queste risorse potrebbero essere investite nel futuro dei giovani, nella formazione e nell’innovazione.

    Richiesta di referendum obbligatorio

    Vista la portata del pacchetto, i Giovani UDC chiedono che sia sottoposto a referendum obbligatorio, affinché siano il popolo e i cantoni a decidere il futuro delle relazioni con l’UE.

    Non possiamo accettare che la Svizzera rinunci alla propria autonomia legislativa e democratica in cambio di un’integrazione che penalizza i giovani, le imprese e le finanze pubbliche. Rifiutiamo con convinzione l’accordo proposto.

  • Lupi in Ticino: il limite è stato superato

    Lupi in Ticino: il limite è stato superato

    Parlare di “coppie di lupi” ormai fa quasi sorridere. Sappiamo tutti come va a finire: una coppia diventa branco, e un branco diventa un problema. La vera domanda è semplice ma urgente: a quanti vogliamo arrivare?

    Il Ticino è saturo. I territori alpini, già provati da difficoltà economiche e spopolamento, oggi devono affrontare anche la crescita incontrollata della popolazione di lupi. E la solita scusa del “non protetto adeguatamente” ha davvero stancato.

    Ogni volta che un branco arriva, la paura e la preoccupazione degli allevatori crescono sempre di più. Inoltre, costringere animali come le capre in recinti per proteggerli dai lupi è fuorviante: limita i loro comportamenti naturali, genera stress e riduce il benessere degli animali. La realtà dei pascoli è chiara: animali sbranati, greggi disperse, persone esasperate. Non si tratta di essere “contro la natura”, ma di riconoscere che ogni equilibrio ha un limite — e in Ticino, questo limite è stato ampiamente superato.

    È tempo di agire. Servono misure di contenimento, monitoraggio e intervento chiare, efficaci e immediate. Il monitoraggio deve essere costante, basato su dati verificabili, non su supposizioni. Gli allevatori devono essere sostenuti concretamente, con strumenti e risorse reali, non con promesse. E le autorità devono finalmente assumersi la responsabilità di decidere: fino a che punto vogliamo lasciare che la situazione sfugga di mano?

    Le uniche notizie di cui abbiamo davvero bisogno non sono più “avvistato un nuovo branco”, ma “oggi è stato eliminato un branco”. Perché qui non si parla di odio, ma di buonsenso. Difendere chi vive e lavora nelle nostre montagne non è un atto di ostilità verso la fauna selvatica, ma una scelta di equilibrio e di rispetto per il territorio.

    La montagna non è una riserva sperimentale: è un luogo vivo, abitato e produttivo.

    Se vogliamo che resti tale, serve il coraggio politico di intervenire ora, con fermezza e responsabilità.

    Aline Prada

  • La scuola non è un centro sociale. Basta con l’indottrinamento ideologico!

    La scuola non è un centro sociale. Basta con l’indottrinamento ideologico!

    In Ticino, come nel resto del mondo occidentale, stiamo vivendo tempi confusi e inquietanti. In diverse città, tra cui Bellinzona e Lugano, si sono svolte manifestazioni in cui si bloccano strade, si vandalizzano spazi pubblici e si rovescia la realtà: i “Palestinesi”, tra cui anche i carnefici di Hamas del 7 ottobre 2023, vengono presentati come le uniche vittime. Questa narrazione non si ferma alle piazze. Purtroppo, è penetrata anche nelle nostre scuole, dove una parte del corpo docente sembra aver dimenticato il proprio mandato educativo. Invece di trasmettere le conoscenze previste dai programmi scolastici, alcuni insegnanti si dedicano a
    promuovere visioni ideologiche e parziali sul conflitto ediorientale. Non è una novità: da sempre, diversi insegnanti trattano la scuola come uno spazio protetto per fare attivismo politico. Ma oggi
    questa tendenza è più evidente che mai. Negli ultimi giorni, genitori preoccupati e studenti disillusi ci hanno segnalato diverse attività che nulla hanno a che vedere con la missione formativa della scuola. I due episodi più emblematici sono:

    La lettera del Liceo cantonale Lugano 1

    Datata 23 settembre 2025, firmata da diversi insegnanti e indirizzata direttamente agli studenti, la lettera contiene toni fortemente emotivi e politici, denunciando una moltitudine di presunti violazioni da parte di Israele. Inoltre gli insegnanti annunciano l’intenzione di trattare il tema regolarmente in
    classe e di organizzare presìdi settimanali all’interno della scuola, aggiungendo, con un tono ambiguo, che “di fronte a fatti tanto intricati, incrociare visioni diverse, talvolta in contrasto tra loro, è un atto obbligato per meglio capire cosa sta succedendo”.


    Questa frase si presta a due interpretazioni: o gli insegnanti ammettono di non avere gli strumenti per affrontare il tema, oppure intendono “ampliare” le vedute degli studenti con la loro personale visione, già chiaramente espressa nella lettera. In entrambi i casi, riteniamo inopportuno che il tema venga
    trattato a scuola: o per incompetenza, o per parzialità ideologica. La scuola deve essere neutrale, non un megafono politico.

    La “Giornata Per La Palestina” in programma il 17 novembre

    Attualmente al Liceo di Lugano 1, al Liceo di Lugano 3 e in diverse “Chat” su WhatsApp gli allievi vengono invitati d’iscriversi ad una “giornata autogestita” per la Palestina. Diversi nostri membri, ex studenti dei licei cantonali, conoscono bene la dinamica di queste giornate. I licei si trasformano in “centri sociali”, dove vengono invitati “esperti” solitamente orientati a sinistra e proposte attività di scarso valore formativo. Per molti studenti, l’unica motivazione per approvare le giornate autogestite è la prospettiva di evitare verifiche, lezioni frontali e, spesso, di assentarsi senza conseguenze.
    Anche per il 17 novembre, ci risulta che si tenti d’incentivare la partecipazione promettendo che non si farà lezione. Il tema della Palestina diventa così un pretesto: agli studenti poco importerà del contenuto, mentre gli insegnanti potranno fare attivismo politico senza ostacoli. Se la giornata si dovesse tenere, cosa che speriamo non accada, proponiamo agli organizzatori, per
    compensare almeno in parte l’impostazione ideologica “pro-Palestina” emersa finora, di invitare un esponente dei Giovani UDC Ticino per offrire un punto di vista alternativo e favorire un dibattito più ampio.

    I Giovani UDC Ticino chiedono alle direzioni scolastiche e ai docenti di:

    • Rispettare la neutralità politica nelle scuole
    • Concentrarsi sull’insegnamento dei contenuti previsti dai programmi scolastici

    La scuola deve tornare a essere un luogo di formazione, rigore e responsabilità. Gli allievi hanno diritto a un’educazione seria, pluralista e libera da pressioni ideologiche. I Giovani UDC Ticino continueranno a vigilare affinché questo principio venga rispettato.

    Interpellanza cantonale: domande rivolte al Consiglio di Stato

    Inoltre, alla luce dei fatti esposti, i Giovani UDC Ticino, tramite i propri esponenti in Gran Consiglio, hanno trasmesso le seguenti domande al Consiglio di Stato, affinché venga fatta piena chiarezza sulla situazione e si intervenga con la necessaria urgenza:

    1. Il Consiglio di Stato è a conoscenza del contenuto della lettera firmata da docenti del Liceo Cantonale Lugano 1, datata 23 settembre 2025, e delle attività annunciate al suo interno, tra cui la trattazione del conflitto israelo-palestinese durante le lezioni, l’organizzazione di presìdi settimanali e una “Giornata Per La Palestina” all’interno dell’istituto?
    2. Il Consiglio di Stato ritiene conforme al mandato educativo e al principio di neutralità politica l’utilizzo di canali scolastici ufficiali da parte di docenti per promuovere visioni personali su temi geopolitici e per organizzare iniziative di carattere politico all’interno della scuola?
    3. Quali misure concrete intende adottare il Consiglio di Stato per garantire il rispetto della neutralità politica all’interno delle scuole pubbliche cantonali, in particolare in relazione a temi di attualità internazionale?
    4. È previsto un monitoraggio sistematico dei contenuti proposti durante le giornate autogestite e altre attività scolastiche straordinarie, come quella prevista il 17 novembre, al fine di evitare derive ideologiche e assicurare la coerenza con gli obiettivi formativi del sistema scolastico?
    5. Il Consiglio di Stato intende valutare la sospensione, la riformulazione o una maggiore regolamentazione delle giornate autogestite e di altre attività straordinarie, affinché non si trasformino in strumenti di propaganda politica o attivismo ideologico?
    6. Quali strumenti e garanzie intende mettere in atto il Consiglio di Stato per tutelare il diritto degli studenti a ricevere un’istruzione imparziale, conforme ai programmi scolastici, libera da pressioni ideologiche e rispettosa del pluralismo?
  • Proteste “pro-Palestina”: la sinistra gioca con i drammi del mondo e con la pazienzadei cittadini

    Proteste “pro-Palestina”: la sinistra gioca con i drammi del mondo e con la pazienzadei cittadini

    Lugano, 7 ottobre 2025


    Due anni dopo il 7 ottobre 2023 – il giorno in cui Hamas ha barbaricamente attaccato Israele,
    uccidendo civili, prendendo in ostaggio diverse persone e aprendo una ferita che ancora oggi
    insanguina il Medio Oriente – assistiamo, purtroppo, a un nuovo spettacolo di ipocrisia politica sulle
    nostre strade. Come di consuetudine, la sinistra trasforma un dramma internazionale in uno strumento
    di propaganda politica, utilizzandolo per cercare visibilità a scapito della sicurezza e della serenità
    della popolazione.

    Dai fatti alla degenerazione

    Nelle ultime settimane il nostro Paese è infatti stato scosso da numerose manifestazioni “pro
    Palestina” avvenute in molte città. Nel mese di giugno, a Zurigo, una manifestazione non autorizzata
    si è conclusa con ben undici arresti e diversi danni materiali. Appena pochi giorni fa, le forze di
    polizia sono state costrette a intervenire con cannoni ad acqua e gas lacrimogeni, dopo che alcuni
    manifestanti hanno appiccato incendi e agito con violenza nei confronti degli agenti presenti.
    A Berna, una protesta si è trasformata in uno scontro aperto, con lanci di oggetti e fuochi d’artificio
    contro gli agenti di polizia. A Ginevra, oltre 3’000 persone hanno bloccato l’incrocio vicino alla
    stazione di Cornavin, dando fuoco a pneumatici, paralizzando il traffico e impedendo a molti cittadini
    di rientrare a casa. Anche a Lugano, sono stati registrati forti disagi alla circolazione e una presenza
    politica che lascia veramente senza parole.

    Un doppio gioco inaccettabile: l’arroganza travestita da solidarietà

    È già inaccettabile che le nostre città vengano paralizzate da proteste spesso non autorizzate, che
    creano caos, violenza e disagi per la popolazione.
    Ma è ancora più grave vedere esponenti di partiti della sinistra in prima fila in questi cortei, proprio
    come se l’illegalità fosse un atto virtuoso. Quando coloro che siedono nei consigli comunali o nel
    Gran Consiglio partecipano ad azioni simili, viene mandato un messaggio devastante: le leggi
    valgono per tutti, tranne che per loro.
    Queste situazioni mettono in luce il solito doppio gioco che porta avanti la sinistra: si proclama
    paladina della tolleranza e della giustizia, ma nei fatti dimostra l’esatto contrario, un profondo
    disprezzo per le regole, per l’ordine pubblico e per ogni forma di rispetto.
    Le scene viste nelle nostre città negli ultimi tempi sono un vero e proprio insulto al senso civico dei
    cittadini svizzeri. Bloccare strade, disturbare famiglie, aggredire agenti e obbligare la polizia a
    intervenire non è libertà d’espressione: è arroganza.
    Queste proteste non hanno portato né pace né soluzioni, ma solo caos, fumo e divisione.
    Dietro la retorica della solidarietà si cela la solita strategia della sinistra: sfruttare drammi
    internazionali per attirare più attenzione possibile, mostrarsi “impegnata” e guadagnare visibilità,
    senza però mai offrire nulla di concreto. Insomma: tutto slogan, zero sostanza.

    Ordine e rispetto

    I Giovani UDC e il Movimento Giovani Leghisti denunciano con forza questa pericolosa deriva. È
    dovere delle autorità cantonali e comunali garantire che ogni manifestazione avvenga nel rispetto
    della legge, con percorsi concordati e limiti chiari. Coloro che organizzano o partecipano ad eventi
    non autorizzati devono risponderne penalmente e/o civilmente. La libertà di manifestare non può
    assolutamente trasformarsi nel diritto di paralizzare le città, creare disordine o insultare chi non la
    pensa allo stesso modo.
    Mettiamo finalmente fine a questa ipocrisia! Chi ha per davvero a cuore la libertà, rispetta le regole
    e gli altri. Chi rispetta il popolo, non lo prende in ostaggio per propaganda.
    La Svizzera è, e deve rimanere, un Paese di ordine, di rispetto e di equilibrio. Noi non permetteremo
    che venga trascinata nel disordine e nell’odio da una sinistra che usa le tragedie del mondo per fare
    politica da marciapiede. È tempo di serietà, di fermezza e di rispetto per chi ogni giorno lavora, paga
    le tasse e chiede soltanto una cosa: poter vivere in pace, senza doversi fermare davanti all’ennesimo
    corteo gridato da chi non ha nulla da proporre.

  • Quando l’“equità” diventa disincentivo: No all’iniziativa del 10%!

    Quando l’“equità” diventa disincentivo: No all’iniziativa del 10%!

    Nel dibattito politico attuale, l’iniziativa socialista che propone di limitare i premi della cassa malattie al 10% del reddito si presenta come una misura di giustizia sociale. Ma dietro l’apparente equità si cela un rischio sistemico: quello di minare la responsabilità individuale e incentivare il disimpegno.

    Per comprendere meglio le dinamiche che potrebbero innescarsi, vale la pena ricordare una storiella raccontata da un professore di economia ai suoi studenti. Una parabola semplice, ma sorprendentemente efficace.

    La parabola del professore

    Un professore di economia, ha cercato spesso di spiegare ai suoi studenti le dinamiche che regolano gli incentivi e i comportamenti collettivi. Una volta, però, non bastavano le parole. Così decise di fare un esperimento.

    Una sua classe era convinta che il socialismo fosse il sistema ideale: nessuno povero, nessuno ricco, tutti uguali. Quindi lui disse:

    «Perfetto. Facciamo un esperimento. Invece di valutare ciascuno individualmente, sommiamo tutti i voti e li dividiamo per il numero degli studenti. Così nessuno sarà bocciato, e nessuno avrà il voto più alto.»

    Dopo il primo esame, la media fu un 5 — un buon risultato. I più diligenti erano però delusi, mentre tra chi aveva studiato poco regnava l’entusiasmo. Al secondo esame, i meno preparati si impegnarono ancora meno, e anche i bravi pensarono: “Perché faticare, se il voto è condiviso?” Il risultato fu una media appena sufficiente. Al terzo esame, nessuno studiò più. La media fu insufficiente. Tutti bocciati.

    Il professore concluse dicendo:

    «Ecco cosa succede quando si elimina il merito. Se una parte della popolazione capisce che può ricevere senza contribuire, e chi contribuisce capisce che il proprio impegno non viene riconosciuto, il sistema collassa. Non per ideologia, ma per logica.»

    Collegamento all’iniziativa del PS

    Questa storiella, illustra perfettamente il rischio insito nell’iniziativa socialista. Limitare i premi della cassa malattie al 10% del reddito può sembrare una misura equa, ma in realtà introduce un incentivo perverso: le persone farebbero i propri calcoli e si accorgerebbero che, riducendo il proprio reddito — ad esempio lavorando meno o scegliendo impieghi meno retribuiti — potrebbero beneficiare maggiormente dei sussidi per la cassa malattie (RIPAM).

    Infatti, più basso è il reddito, più velocemente si raggiunge la soglia del 10%, oltre la quale lo Stato interviene per coprire la differenza. In pratica, chi lavora poco o guadagna meno riceve un aiuto diretto, mentre chi lavora di più e guadagna meglio finisce per finanziare il sistema senza riceverne alcun vantaggio. Alla fine del mese chi per propria scelta lavora e guadagna di meno rischia d’aver di più nel borsello di chi lavoro duro e si impegna per migliorare le proprie condizioni di vita. Il messaggio implicito è chiaro: conviene lavorare meno per ricevere di più.

    Questo meccanismo incentiverebbe un comportamento razionale ma profondamente dannoso: il disimpegno. Se il sistema premia chi contribuisce meno, nel tempo sempre più persone ridurrebbero il proprio sforzo, fino a quando non ci sarebbe più nessuno disposto a sostenere i costi del sistema. Proprio come nella classe del professore, dove alla fine nessuno studiava più.

    L’equità non si costruisce livellando verso il basso, ma creando un sistema che protegga i più vulnerabili senza scoraggiare chi si impegna. Senza questo equilibrio, le casse del nostro cantone si svuoteranno molto velocemente e qualsiasi sistema sociale smetterà di funzionare.

    Vi invito quindi di votare No all’iniziativa socialista per il 10%!

    Nicolò Ghielmini

  • Losanna: Esponente UDC aggredito. Partiti di sinistra complici!

    Losanna: Esponente UDC aggredito. Partiti di sinistra complici!

    Di fronte ai gravissimi disordini verificatisi a Losanna, i Giovani UDC Ticino e il Movimento Giovani Leghisti ritengono doveroso esprimere con chiarezza e fermezza la propria posizione: la violenza non può mai essere tollerata né giustificata.

    I fatti hanno origine da un incidente stradale. Secondo le informazioni disponibili, un giovane diciassettenne era alla guida di uno scooter rubato, senza patente e in fuga dalla polizia. L’incidente si è verificato nelle prime ore di domenica 24 agosto 2025, quando il ragazzo ha perso il controllo del mezzo, schiantandosi contro un muro. Le autorità hanno confermato che non vi è stato alcun contatto tra lo scooter e l’auto della polizia, che seguiva a distanza con i lampeggianti accesi. Il giovane, residente a Losanna, viaggiava a velocità eccessiva in una zona con limite di 30 km/h. L’inchiesta penale è in corso, ma i primi riscontri confermano l’assenza di responsabilità da parte degli agenti.

    Nonostante ciò, invece di attendere l’accertamento dei fatti, quartieri della città sono stati devastati da proteste violente e organizzate, prive di qualsiasi giustificazione. Centinaia di individui incappucciati hanno messo a ferro e fuoco Losanna. I disordini hanno poi portato all’aggressione del consigliere comunale Thibault Schaller, esponente UDC di Losanna. Durante la prima notte di violenze, Schaller è stato riconosciuto poco lontano da casa sua, insultato come “fascista” e brutalmente picchiato da un gruppo di manifestanti, presunti “Antifa” incappucciati. Secondo la sua testimonianza, è stato colpito, gettato a terra e inseguito da una quindicina di persone, riuscendo a salvarsi solo grazie all’intervento della polizia. Questo episodio dimostra come gruppi solitamente di sinistra considerino l’uso della violenza un mezzo legittimo per fare politica.

    I partiti di sinistra sono responsabili del clima politico attuale che porta a questi episodi. Esponenti del PS, dei Verdi, della GISO e dei Giovani Verdi non esitano a strizzare l’occhio a movimenti estremisti, legittimando la violenza invece di condannarla. Attaccano la polizia con accuse prive di fondamento, arrivano persino a proporne il disarmo (come nel caso di Ilias Panchard, presidente dei Verdi di Losanna), marciano al fianco di questi gruppi radicali (come Fabian Molina, consigliere nazionale di Zurigo) e, in altri casi, ne fanno direttamente parte in prima persona (come in gioventù Cédric Wermuth, presidente nazionale del PS).

    È giunto il momento di dire basta all’ambiguità ideologica e alla tolleranza verso chi semina odio e distruzione. La Svizzera non può permettersi di normalizzare la violenza come strumento di pressione politica, né di accettare che le sue istituzioni vengano indebolite da chi, sotto il velo dell’attivismo, promuove l’anarchia e il disordine.

    I giovani hanno il diritto di vivere in un Paese dove la sicurezza è garantita, dove il dibattito politico si svolge nel rispetto reciproco e dove le forze dell’ordine non sono bersaglio di campagne di delegittimazione. Chi attacca la polizia, chi giustifica le aggressioni, chi propone il disarmo delle autorità, non sta difendendo la democrazia: la sta minando.

    I Giovani UDC Ticino e il Movimento Giovani Leghisti continueranno a battersi per una Svizzera libera dalla violenza, fondata sul rispetto della legge, sulla responsabilità individuale e sulla difesa delle istituzioni. Non arretreremo di fronte all’estremismo, né accetteremo che venga mascherato da attivismo politico.

    La democrazia non si difende con i pugni. Si difende con il coraggio di dire la verità.

  • Primo maggio: Festa dei lavoratori o teatro ideologico della sinistra?

    Primo maggio: Festa dei lavoratori o teatro ideologico della sinistra?

    1° maggio 2025 – Invece di celebrare le “conquiste degli operai”, anche nella giornata odierna molte piazze si trasformano nel teatro delle varie assurdità della sinistra. Oggi è solo l’apice delle proteste che vanno avanti tutto l’anno, che bloccano i nostri centri cittadini e che spesso vengono accompagnate da atti vandalici. Dalla “giustizia climatica” ai “diritti” di minoranze sempre più scollegati dai doveri, dalla crociata contro i “ricchi” alla criminalizzazione dell’impresa privata, fino alla vergognosa glorificazione di Hamas. Il pretesto cambia, ma l’obiettivo delle proteste resta lo stesso: imporre tasse e divieti, ossia l’agenda politica che distrugge opportunità e penalizza chi si rimbocca le maniche tutti giorno.

    Come questo debba aiutare gli operai rimane un vero mistero

    Ringraziamo chi fa le consegne a domicilio, chi coltiva la terra, chi lavora nei cantieri, chi ripara, chi lavora per le organizzazioni di pronto soccorso, e tutti gli altri che ogni mattina si alzano rimboccandosi le maniche. Ma ringraziamo anche chi mette in gioco i propri risparmi aprendo nuove attività, creando posti di lavoro per noi ticinesi.

    I GUDC ringraziano i lavoratori e gli imprenditori che creano il nostro benessere

    Noi, Giovani UDC Ticino, chiediamo per tutti i lavoratori e gli imprenditori che venga difeso il loro diritto a lavorare e di creare. Siamo contro uno Stato ideologizzato che scoraggia il lavoro onesto e l’assunzione di rischi espropriandone i frutti attraverso tasse e burocrazia. Per noi, il lavoro e l’imprenditorialità devono valerne la pena: devono essere riconosciuti, tutelati e incentivati – non ostacolati.

    In questo 1° maggio, non ci uniamo a chi causa clamore. Noi stiamo con chi lavora.